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domenica 2 marzo 2014

"Non servire a mammona" uguale "vivi un'economia della felicità"

"Non potete servire a Dio e a mammona". Ecco la parola che ci viene rivolta oggi dalla liturgia domenicale.

Il Vangelo secondo Matteo e in particolare il Discorso della Montagna

Leggiamo oggi dal capitolo 6 del Vangelo secondo Matteo. Ogni anno, su un ciclo di tre anni, viene scelto un evangelista in modo particolare, dal quale attingiamo la Liturgia della Parola ogni domenica, almeno nel "Tempo Ordinario". E' da qualche settimana che ascoltiamo vari insegnamenti di Gesù in quella raccolta che l'evangelista Matteo ha posto nel cosiddetto "Discorso della Montagna". Si tratta di una bellissima raccolta di insegnamenti che ci aiutano a capire che cosa significa effettivamente vivere da cristiani. E visto che Matteo proviene dalla cultura ebraica (era un ebreo, sebbene considerato un traditore dai suoi compaesani perché raccoglieva le tasse per i romani non lontano dal villaggio di Gesù, Cafarnao, che si trova sulla riva del Lago della Galilea e nelle vicinanze dell'antica Via Maris, quella via commerciale che collegava la lontana Babilonia al nord-est con l'Egitto al sud-ovest); visto che Matteo proveniva dalla cultura ebraica, conosceva bene le usanze e le scritture ebraiche. Pertanto nel suo vangelo troviamo continui richiami e confronti con l'Antico Testamento. Anche nel discorso della montagna, ascoltiamo Gesù che proclama "Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento." Con Legge si intende la Torah, ossia i primi cinque libri dell'Antico Testamento, la parte più importante e significativa delle scritture ebraiche; i Profeti sono l'altra sezione significativa delle scritture ebraiche. Se noi oggi, come cristiani, abbiamo nella nostra Bibbia anche l'Antico Testamento con la Legge e i Profeti, e non soltanto il Nuovo Testamento, è proprio perché Gesù "non è venuto per abolire la Legge o i Profeti".

Dio, padrone provvido

Dopo aver fatto vari insegnamenti sulla preghiera e sull'elemosina, e sul perdono cristiano, oggi Gesù ci ricorda che conviene scegliere Dio come nostro padrone, perché è un Dio che si preoccupa di noi, è un Dio provvido. Contrappone a Dio un altro padrone, "Mammona". Mammona non è il denaro in quanto tale, è piuttosto quella disposizione del cuore che viene chiamata avidità, e che ci chiude il cuore nei confronti di Dio e del vicino (che noi da cristiani chiamiamo pure fratello). Gesù non condanna l'economia come sistema, la quale è pure necessaria per la vita in società; l'economia prevede un circolo di denaro nella ricerca di migliorare la vita di tutti quanti, nella ricerca di offrire servizi utili gli uni agli altri. Gesù ci fa capire che Dio non ha il cuore chiuso nei nostri confronti, ma è un Dio provvido il quale tiene in alta considerazione il valore della nostra vita. "Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?"
Anche la prima lettura, tratta dai Profeti, è su questa linea, ossia della "provvidenza tenera" di Dio. Qualche volta abbiamo un'immagine del Dio dell'Antico Testamento come un Dio vendicativo, un Dio che è pronto a punire, un Dio "Zeus" pronto a lanciare i suoi fulmini, mentre il Dio del Nuovo Testamento è il Dio della misericordia e del perdono. Ebbene, la lettura di oggi ci fa ricredere su questo luogo comune; sono diversi i passi dell'Antico Testamento nei quali iniziamo a vedere il volto di un Dio "Padre", tenero e misericordioso, lento all'ira e pronto al perdono. Anzi, è sorprendente il passo di Isaia che oggi ascoltiamo, Dio si paragona addirittura ad una madre! "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai." Quando il Papa Giovanni Paolo II ha paragonato Dio a una madre in qualche occasione (pensiamo all'Angelus del 10 settembre 1978, mentre era in corso il summit di Camp David; il Papa ricordava il premiere Begin che citava questo stesso passo di Isaia, e il Papa poi commenta: "E' papà; più ancora è madre."), sembrava che avanzasse una nuova teologia. Invece ascoltando bene le pagine dell'Antico Testamento, già vediamo svelato l'amore paterno e materno di Dio.

Siamo noi le mani della Provvidenza di Dio

Come si esprime concretamente la provvidenza di Dio? Noi leggiamo alcuni passi dell'Antico Testamento che cantano le meraviglie operate da Dio nei confronti del suo popolo, quando ha aperto le acque al passaggio degli Israeliti e poi le ha richiuse al passaggio degli egiziani, quando ha provveduto la manna e le quaglie nel deserto, quando aiutava a vincere le battaglie... Però possiamo dire che questi racconti fanno parte dell'epopea del Popolo di Israele, che vuole esprimere la sua fede nella provvidenza di Dio. Non dobbiamo però pensare che Dio ci metterà sempre tutto davanti in maniera così eclatante, anche se qualche volta nella vita anche noi possiamo quasi toccare per mano la provvidenza di Dio.
Dobbiamo invece ricordarci che siamo tutti noi le mani della provvidenza di Dio. Dio esprime la sua provvidenza nel mondo anche attraverso di ognuno di noi. San Giacomo ci ricorda (cap. 2 vers. 6): "Se uno è senza vestiti e cibo e tu gli dici, va in pace, non preoccuparti, riscaldati e saziati, ma non gli dai il necessario per il corpo, a che cosa ti serve la tua fede?" Non ci può essere fede senza carità. Ma ci sono molti modi in cui realizzare la carità, e non soltanto con l'elemosina. Penso per esempio all'esperienza molto interessante della "economia di comunione" che cercano di realizzare alcune aziende nella località Burchio (Incisa - Valdarno, FI). Si tratta di uno stile di economia aziendale volto a progetti di sviluppo per abbattere le povertà; uno stile di economia aziendale che cerca di curare la qualità dei rapporti umani tra dirigenza e dipendenti, tra venditore e cliente; uno stile di economia aziendale che ha una attenzione per il territorio e per il benessere delle persone che abitano nello stesso territorio; possiamo chiamarla "economia delle relazioni" o "economia della reciprocità" o in fondo "economia della felicità". Credo che sia questo l'invito di Gesù nel Vangelo che oggi ascoltiamo, non un disprezzo del denaro, ma un uso e una gestione del denaro che sia volta effettivamente al bene delle persone, e ad una società autenticamente a misura dell'uomo.

Quella fiaccolata di febbraio di supplica penitente e di come non bisogna mai vantarsi troppo

Amo ricordare ogni anno, mentre inizio in fondo alla chiesa la fiaccolata nel giorno della Presentazione del Signore al Tempio il giorno 2 febbraio, uno dei significati di questo gesto, caratteristico della processione almeno qui in Occidente.
In verità questa festa liturgica ha le sue origini lontane nella Liturgia Orientale, sotto il nome di "Ipapante" (che in greco significa "Incontro"), per ricordare l'incontro del vecchio Simeone con Gesù bambino nel Tempio quando Maria e Giuseppe, per adempiere alla legge ebraica, presentano il loro primogenito al Signore con l'offerta prevista dalle leggi prescritte nell'Antico Testamento (Es 13,2.11-16; Lev 12,6-8).
In occidente, nel periodo medievale e in particolare a Roma, questa processione acquista un ulteriore significato. Visto che avveniva di febbraio, e visto che febbraio si chiama febbraio perché è il mese delle febbri, allora questa processione con le fiaccole aveva anche un carattere penitenziale, con la supplica al Signore perché sia clemente e misericordioso e perché non ci faccia soffrire troppo le febbri.

Ebbene, è da un anno praticamente che io non prendevo febbre, perciò mentre esponevo questo pensiero all'inizio della fiaccolata, sorridevo compiacente, contento di non aver sofferto questo male che tocca praticamente a tutti prima o poi ogni anno. Guardavo tutti intorno a me che prima o poi si beccavano, in vari periodi dell'anno (in estate addirittura!) un bel raffreddore e perché no, anche un po' di febbre. Attribuivo (e forse un fondo di verità c'è pure) la mia forza corporale nel resistere alla sciagurata febbre al fatto che, da un anno, consumo quasi ogni giorno 4000 IU di vitamina D. Ho imparato questo consiglio da una mia zia durante un mio viaggio a casa negli Stati Uniti che si è trasformato in un pellegrinaggio penitenziale dal momento che, per l'ennesima volta, mi sono beccato un bel raffreddore dal viaggio in aereo. Chissà, sarà dovuto al ricircolo di aria con tanti passeggeri a bordo... In ogni modo, questa zia mi raccontava che è da tanto tempo che non si becca nessuna influenza o raffreddore grazie alla vitamina D che ha iniziato a consumare nel limite giornaliero (e non conviene mai superare questo limite, troppe vitamine non fanno bene) di 4000 IU.
Mi aveva un po' convinta la sua teoria, perché informandomi su questa Vitamina D (si sente tanto parlare di Vitamina C, poco della Vitamina D), ho scoperto che la vitamina D viene prodotta naturalmente dal corpo quando è esposto al sole, a seconda di quanta superficie di pelle è esposta ogni giorno... Beh, tenendo conto che abbiamo, nella nostra civiltà attuale (almeno, per la maggior parte, poi eccezioni ci sono) l'usanza di andare in giro ben vestiti e coperti, e che passiamo tanto tempo della giornata all'interno degli edifici e delle abitazioni, in effetti non siamo così esposti al sole quanto chi vive in natura. Pertanto posso capire che il corpo tenda ad avere deficienza di vitamina D.
Ebbene, fino all'altro ieri la teoria ha retto. Ma nessuna teoria è infallibile. Proprio l'ultimo giorno del mese delle febbri, anch'io mi sono beccato, dopo un anno, una bella febbre. Allora non ho fatto invano la fiaccolata del 2 febbraio, anch'io mi ritrovo che non mi posso vantare delle mie forze e nemmeno troppo delle mie vitamine che pur potendo aiutare, non sono infallibili. Sii clemente con noi Signore, e non lasciare che la sciagurata febbre ci colpisca troppo duramente!